Zena Vanacore, un LIS Performer in corsia

da Mar 16, 2021Storie

Zena ha 28 anni, vive a Napoli, città a cui è visceralmente legato. E’ un CO.CODA, un interprete di Lingua dei Segni Italiana e Performer LIS (lo abbiamo visto a Sanremo LIVE LIS 2020 e 2021), laureato in medicina traslazionale, ovvero in Infermieristica, dal 2017. 

Attualmente lavora all’ASL di Caserta, nel presidio ospedaliero COVID di Maddaloni, e precedentemente ha lavorato per circa un anno e mezzo presso U.O e Pronto Soccorso Pediatrico di Caserta, reparto che l’ha formato sotto diversi punti di vista, “non avrei mai immaginato di lavorare in ambito pediatrico e che mi sarebbe piaciuto non poco! Nonostante ciò, prediligo molto più lavorare al di fuori della “corsia”, concentrandomi maggiormente sulla LIS o sull’attività di Performer.

Sei un CO.CODA, ma che significa? 

Un CO.CODA, eh, solo a dirlo… In realtà nemmeno io ero a conoscenza di questo acronimo, ma un giorno di un bel po’ di tempo fa i miei amici “codini” mi dissero che in America questo termine esisteva ed il suo significato è “Figli di Figli di Genitori Sordi”

Non è mia intenzione sostituirmi al vissuto di nessuno, ma dopo una lunga e attenta analisi introspettiva, solamente adesso riesco a capire i diversi atteggiamenti di mia madre nei miei confronti e finalmente comprenderli: lei era più Sorda che udente!

Com’è stata la tua infanzia a cavallo tra il mondo dei sordi e quello degli udenti? 

La mia infanzia l’ho trascorsa costantemente con mia madre, a cui devo tutto sia nel bene che nel male, e con i miei “nonni adottivi”, nonna Anna e nonno Aurelio, amici d’infanzia dei miei nonni di cui mia madre si è presa cura e di cui ha raccontato nel suo libro autobiografico “Diversa figlia di Diversi”.

Mia madre, Concetta Grazioso, è stata un interprete LIS e scrittrice ed ovviamente – CODA, frequentava l’ENS e quindi, di riflesso, anch’io con lei.
Ho dei ricordi paradossalmente molto simili a quelli di altri CODA, ad esempio aspettare fino e tardi, sperando che mia madre finisse di parlare con il presidente dell’Ente o con gli altri Sordi al circolo (persone che conoscevano molto bene mio nonno materno e da cui ho ascoltato molte storie) e allo stesso tempo una volta finito di girovagare su tutto il piano dell’ENS, ormai stanco, aspettavo mia madre sui gradoni fuori dalla porta e non vedevo l’ora di tornare a casa. Cosa divertente era che, ogni qualvolta mia madre mi chiedeva se volevo restare con mio padre il giorno successivo, le rispondevo di no, volevo accompagnarla e stare anch’io all’ENS e segnare con i sordi anziani… 

La mia infanzia l’ho vissuta più con le persone Sorde che con gli udenti, e molto spesso con udenti che stavano imparando la LIS. 

Per me la sordità ed il segnare era la quotidianità e per un bambino di circa 5/6 anni, corrispondeva alla normalità.


Ti sentivi/ti senti più sordo o più udente? 

In realtà non ho mai pensato a quale fosse la mia identità. Ho sempre vissuto serenamente questo aspetto e non mi sono mai interrogato su chi fossi, non ne sentivo la necessità, non percepivo dualismi, ero un tutt’uno con i due mondi.
Ora so che sono una persona Udente ma con un profondo legame con la Comunità Sorda e la LIS oltre che con i CODA e reputo questi elementi fondamentali per il mio vissuto e per il mio vivere quotidiano. 

Sono giunto a questa conclusione grazie ad un forte periodo di crisi interiore: durante l’infanzia ho frequentato molto le persone Sorde ma, quando iniziai le scuole medie e le superiori, via via mi allontanai un po’. Crescendo mi resi conto che era come se una parte di me mancasse, fin quando non iniziai di nuovo a segnare, e così d’un tratto capii che era quello ciò che più mi mancava. 

Raccontami qualcosa della tua infanzia da CO.CODA 

Beh, come si è potuto intendere ho imparato prima a segnare e poi a parlare, letteralmente. 

Quando nacqui, mia madre era preparata all’idea di poter avere un figlio Sordo, anche se così non fu. Non si tirò indietro: organizzò tutto, m’insegnò sin da piccolo la dattilologia e, come un gioco a livelli, più crescevo più alla dattilologia di una parola mi veniva dato il segno corrispondente; ed era pure solita “interrogarmi”. 

Quando desideravo qualcosa, mia madre me la faceva segnare prima in dattilologia e dopo mi chiedeva il segno corrispondente, se non lo conoscevo me lo insegnava.

Se lo eseguivo correttamente, allora ricevevo il mio desiderato premio, altrimenti dovevo sforzarmi fin quando non ci riuscivo. Ricordo ancora un episodio: aspettavamo un autobus che ci riportasse verso casa e nei pressi della fermata c’era una cartoleria (ricordo ancora il posto in Corso G. Garibaldi) in cui vidi un timbro con un serpente animato inciso sopra; mia madre mi disse: “se riesci a segnarlo prima che arrivi l’autobus, te lo compro”. Per me diventò una sfida a tempo, ma alla fine ci riuscii. 

 

 Qual è stato il tuo rapporto con la LIS e com’era visto dall’esterno?

Insegnarmi la LIS non è stato semplice. Mia madre era vittima di pregiudizi ovvero: “se a tuo figlio insegnerai la Lingua dei Segni, diventerà muto e non parlerà più”. Oppure, rivolgendosi a me: “non fare come mamma, non parlare anche tu come i muti”!
C’è da dire che io segnavo con chiunque, ovviamente anche con persone udenti o amici di famiglia, fino a quando, ormai abbastanza grande, mia madre mi rivelò che “non tutti gli udenti conoscevano la LIS” e quindi conveniva parlare per farmi comprendere!   

Fu per me uno SHOCK (SCOCC detto alla ‘sorda’)! Iniziai a fare propaganda sull’uso della LIS e a chiedere a chi non la conosceva perché non la imparavano, perché non volevano usarla… 
Segnare era per me naturale, non capivo come mai anche gli altri udenti non conoscessero la LIS, e mi ci volle del tempo per accettarlo.  

Altra esperienza significativa fu quella con Nonna Anna. Per paura che io potessi crescere in un mondo senza suoni, mi comprava qualunque tipo di giocattolo sonoro, aveva una voce acuta e chiedeva al negoziante “Suonn?” (Suona?!); mi comprò di tutto, dalle tastiere agli aeroplani (modello gigante), e ricordo che ce n’era uno in particolare, era rosso ed emetteva suoni e luci… Ogni qual volta ci giocavo mi diceva “che suono fa?” quasi per accertarsi che io fossi realmente fossi udente! 

Hai detto che durante l’adolescenza ti sei allontanato per un po’ dal mondo sordo: com’è stato ritornare a farne parte e ritrovare quel pezzo di te che “ti mancava”?

Riprendere a segnare fu per me un vero e proprio trauma esistenziale. Infatti, poiché negli anni il mio vocabolario segnico era rimasto un po’ “antiquato” o per meglio dire, parlando di lingua “desueto”, successe che mi corressero il segno “mamma” non più eseguito con la configurazione B al di sotto del costato dello stesso lato della mano dominante, palmo rivolto verso l’alto con movimento ripetuto 2 volte. Il segno era cambiato in quegli anni ed è quello che ormai tutti usiamo.
Io inveivo e dicevo… “No, questo è il segno MAMMA (usando il vecchio segno in mio possesso)”! Ovviamente poi ho scoperto che, come tutte le lingue, anche la LIS si evolve.

Quell’esperienza mi ha segnato così profondamente che, spesso mi ritrovo a pensare quale sia il segno di un determinato sostantivo (mi è capitato con Maradona), eseguo il segno e… “n capa a me’”dico “noooooo… vuoi vedere che ho sbagliato? Il segno non sarà quello…Zena Sbagli semp tutt cos”!

Poi vedo eseguire il segno e dico, tra me e me: “Zena! Allora la conosci la LIS, non te la sei dimenticata!”. E chest’è! 

C’è un’esperienza che ti ha segnato profondamente? 

Mia madre 6 anni fa venne ricoverata per un intervento delicato al cuore, per essere precisi un doppio bypass. L’operazione andò bene, nonostante ci sia stata poi un’evoluzione del tutto imprevista che ha portato alla sua scomparsa. 

Dopo l’operazione, una volta estubata, mia madre usava segnare con me per potermi comunicare come stava – la sua trachea aveva subìto lo schiacciamento dei tubi per la respirazione artificiale post-operatoria e le risultava difficile emettere i suoni – e ciò che ricordo, e lo ricordo perfettamente, è la reazione dei sedicenti medici oltre che dei, all’epoca, miei “futuri colleghi infermieri”. Nonostante le avessero salvato la vita, continuavano a dire “ma che segna a fare questa, mica è sorda?” rivolgendosi a me. “Tanto noi non la capiamo, ma che sta dicenn chest”(cit.). Alla scoperta che fossi il figlio, si trattennero e si scusarono, tanto più alla scoperta che mia madre fosse udente. 

In quel momento ho immaginato come potesse essere dura per una persona realmente sorda stare in un reparto di rianimazione, S-O-L-A, senza la possibilità di comunicare. Credo sia una vergogna: si è fatto tanto per non chiamare più il paziente con il nome della malattia da cui è affetto oppure per non identificarlo solamente per il numero del letto che occupa. La dignità spesso, ancora oggi, viene calpestata. Vedo grandi luminari e illustri intellettuali, che però sono ciechi nei confronti dei bisogni delle persone, pieni soltanto del proprio ego, e in fondo semplicemente uomini sotto un Dio più grande.

Tu sei infermiere, interprete e LIS performer… come convivono questi ruoli in te?  

Credo dalle risposte precedenti si sia capito – in maniera nemmeno tanto implicita – che vivrei di LIS, ma purtroppo per la situazione che abbiamo in Italia circa il riconoscimento della Lingua dei Segni, non è possibile poter svolgere esclusivamente il lavoro di interprete e performer. 

Facendo un passo indietro però, ricordo che in quel periodo di crisi e lontananza dai sordi,  frequentavo un liceo sperimentale ad impronta scientifica in cui molte ore erano dedicate a laboratori di chimica e biologia, e il mio sogno era di diventare tecnico di laboratorio oppure studiare medicina di laboratorio.


E allora come sei finito a fare l’infermiere? La scelta del tuo lavoro è in qualche modo collegata alla sordità? 

La scelta di iscrivermi alla facoltà d’infermieristica è stata inizialmente un “ripiego”, quasi una forzatura. Sia chiaro, non disprezzavo questo tipo di lavoro, ma semplicemente non credevo fosse adatto a me e dall’altra parte diversi membri della mia famiglia mi sollecitavano ad accettare l’idea con la speranza di trovare precocemente un lavoro appena concluso il ciclo di studi. 

(Per amor del cielo, così è stato, ma svolgere questo lavoro va bene ovunque tranne che in Italia, dove l’infermiere non viene mai valutato per ciò che svolge e le capacità che possiede.) 

Durante il ciclo di studi ho avuto modo di scoprire che l’infermiere ha anche la possibilità di dedicarsi ad attività di ricerca scientifica con l’obiettivo di migliorare l’erogazione delle cure assistenziali e… EUREKA!
Pensai, “perché non impiegare le mie capacità in ambito sanitario? “

Mia madre mi fece conoscere Lisanna Grosso, prima infermiera Sorda in Italia, laureata all’università del Piemonte.
Io e Lisanna, parlammo a lungo e notammo che ci eravamo posti gli stessi obiettivi circa il desiderio di fare qualcosa per la comunità sorda segnante in ambito sanitario.
Iniziai a lavorare sulla mia tesi, dove il tutto verteva sul “nursing trans-culturale, sull’approccio al paziente Sordo da parte del personale ospedaliero, indagando i feedback da parte dell’utenza Sorda circa l’erogazione dei servizi”. 

Successivamente ho anche avuto il piacere di applicare a livello pragmatico le ricerche svolte per la mia tesi di laurea, insegnando in corsi di aggiornamento professionale (corsi ECM rivolti ai professionisti sanitari) l’approccio alla persona sorda (tenendo presente l’eterogeneità della sordità stessa ma applicandola maggiormente ai pazienti sordi-segnanti), e tutto questo è stato possibile grazie a Chiara Sideri amica e CODA. 

Come la maggior parte dei napoletani, ho imparato ad essere molto fatalista; se succede qualcosa nella tua vita, ci sarà un perché, e il mio lavoro da infermiere ha il suo bel perché.  

Qual è la parte più dura di essere un infermiere?
Ad oggi posso dire che prendo il mio ruolo di infermiere non con poco entusiasmo, anche se è impossibile rimanere impassibili e non partecipare al dolore dei pazienti e dei loro familiari che soffrono.
Prima, durante e dopo il corso universitario ho dovuto assistere i miei familiari, prima tra tutti mia madre, che ho visto andare via senza poter far nulla, poi è stata la volta di mio nonno paterno. Peggio ancora durante il periodo in cui ho svolto assistenza domiciliare…
Vorrei legarmi con riluttanza ai miei pazienti ma non ci riesco, e forse per questo tendo emotivamente a scappare appena inizio a legarmi a qualcuno.
Ricordo ancorai i nomi delle persone che ho assistito e non ce l’hanno fatta, e fa ancora male, ma l’ver avuto occasione di lavorare con i bambini, seppur faticoso, mi ha aiutato molto in questo

Cosa significa essere un infermiere segnate durante l’emergenza coronavirus, visto anche l’impatto negativo delle mascherine che non permettono di leggere il labiale e il distanziamento sociale? Hai avuto pazienti sordi?
Ho avuto modo di poter fare da interprete a diversi genitori spaventati che portavano i loro figli in pronto soccorso durante le fasi iniziali della pandemia, ho conosciuto diversi CODA che sono stati ricoverati da noi in reparto, e ho conosciuto anche un sordo segnante che lavora in ospedale a Caserta!
Inizialmente nessuno comprendeva perché (a mio rischio e pericolo), io abbassassi la mascherina per poter comunicare con l’utenza sorda, allora ho dovuto spiegare che la nostra lingua non viene veicolata solo con le mani, e che le componenti non manuali sono estremamente importanti.
L’impatto della mascherina è orribile, un fastidio incredibile. Perfino io, udente segnante, mi sentivo realmente “SORDOMUTO”, nell’accezione più antipatica che usano gli udenti per tale termine, anzi peggio! Tagliato via dalla comunicazione, incapace di comunicare, seppur segnante. Fortuna che adesso esistono le mascherine trasparenti!

In cosa consiste il lavoro del LIS performer? Quali sono le qualità che bisogna avere?
Il performer è un interprete di Lingua dei Segni Italiana con un “plus”, o forse ci metterei anche l’articolo “il”.
Si è molto dibattuto su chi fosse realmente il performer. In America questa figura c’è già da un po’, mentre qui le persone “visionarie” (come Laura Santarelli) vengono considerate fuori luogo ma, d’altronde, è sempre stato così: che tu sia Sordo o Udente tutto ciò che non è socialmente condiviso viene demonizzato.
Credo che una delle qualità sia saper improvvisare, e questa caratteristica mi ha aiutato molto a Sanremo 2020 (indimenticabile l’episodio Morgan-Bugo), ma anche Sanremo 2021 ha riservato delle belle sorprese.
Da piccolo partecipavo alle adunanze cristiane con i miei genitori, c’era un gruppo LIS (erano gli albori) che traduceva testi di cantici cristiani in Lingua dei Segni, di cui mia madre fu una delle pioniere di tale progetto: osservavo mamma mentre preparava traduzioni di alcuni cantici, e ancora oggi metto in pratica il suo modus operandi.
Da piccolo segnavo “a specchio”, copiando ciò che un’altra persona segnava, mentre
da grande ho iniziato ad imparare da autodidatta l’American Sign Language e ho tradotto inizialmente qualche canzone in lingua americana, poi mi sono dedicato alle canzoni in Lingua Italiana ed infine, mi sono cimentato – in tempi più recenti – con canzoni e poesie in lingua napoletana.

In che cosa il ruolo del LIS performer si differenzia da quello dell’interprete?
La differenza tra performer ed Interprete LIS consta nell’avere una preparazione teatrale, musicale e scenica, avere la capacità di studiare testi e riuscire ad elaborarli ricercando il segnato più appropriato.
Immagino in maniera quasi del tutto poetica il ruolo di noi performer, il nostro corpo diviene ‘”vinile”, dove incidiamo su noi stessi la melodia, utilizziamo le nostre mani come uno spartito musicale e trasformiamo ciò che è già il suono (che è di per se’ vibrazione) in “vibrazione visiva”.
Io sono ancora del tutto acerbo e ho molto da imparare, ma cercherò di mettercela tutta per farlo, e per adesso devo ringraziare chi sta credendo in me e nelle capacità che ad oggi non credevo di possedere. Unica certezza, devo ancora una volta ringraziare mia madre e ciò che lei mi ha insegnato!

Per muoversi sul palco come te bisogna saper anche ballare o basta semplicemente avere un po’ di ritmo nel sangue? Tu, per esempio, come fai?
Beh, mi piacerebbe tanto avere un bel rapporto con il ritmo del cantato, forse se avessi avuto modo di frequentare una scuola di canto, ci sarei anche riuscito (a cantare bene intendo)!
Io non so come faccia, di solito non ballo in pubblico, ma ho scoperto in me un’attitudine che avevo ignorato: non mi ascoltavo né mi osservavo abbastanza, ma io danzo! Mi muovo spesso e, al contempo, immagino come traslare al meglio il ritmo sul mio corpo.
Per me: “la musica è arte che si propaga nel vibrato dell’aria, impercettibile, impalpabile, e non devi essere necessariamente udente per poterla percepire, ma forse, necessariamente predisposto”.
La musica può non piacere, così come avviene per qualsivoglia opera d’arte, ma è un modo per esternare ciò che spesso non riusciamo a dire a parole, è sfogo, ingegno, è speranza.
La musica è letteralmente vita. Se ci pensiamo, anche l’universo ha una sua “melodia” così anche il nostro DNA… E questo non lo dico io, ma team di scienziati che hanno scoperto, studiato e riprodotto tali melodie.

Quale pensi sia stato l’impatto dell’evento Sanremo Live LIS sul pubblico sordo e udente?

Inizialmente criticato, poi apprezzato, poi nuovamente criticato.
Come qualunque programma televisivo c’è chi apprezza e chi no. Quello che forse non sopporto è la mancanza di tatto avuta da qualche Sord*, dove apertamente ha scritto che il tutto è risultato inutile.
Posso testimoniare in prima persona quale enorme lavoro ci sia stato dietro Sanremo 2020, il primo accessibile: ore ed ore di prove, molte improvvisazioni, e credo che abbia avuto un notevole impatto positivo sul pubblico. E’ stato seguito anche da molte persone udenti che ci hanno scritto per poter prendere contatti con scuole di formazione di Lingua dei Segni Italiana.

Credo che fosse ora di iniziare a farci notare come comunità, e tradurre un evento di quella portata ha portato notevoli benefici circa l’esistenza delle persone Sorde e della LIS. 

E’ stato un modo per dire, finalmente, “noi esistiamo anche se ci ignorate! Noi segniamo anche se non avete mai provato ad ascoltarci, anche se per voi siamo invisibili!”

Anche il Sanremo appena conclusosi, ha visto la seconda edizione di Sanremo Live LIS, a cui ho avuto ancora una volta l’onore di partecipare, in un format ancora più accessibile rispetto all’anno scorso. C’è da dire che, considerando il periodo pandemico e le varie restrizioni vigenti, quest’anno, Sanremo Live LIS 2021 è stato particolarmente difficile e impegnativo da preparare e coordinare, ma alla fine il bilancio è stato più che positivo e ci sono le basi per continuare a migliorare il format.

Alcuni sordi, in modo particolare i giovani, hanno apprezzato il rap, altri canzoni meno ritmate, altri ancora hanno apprezzato alcuni performer meno di altri, ma non importa! 

Se infatti analizziamo il tutto in maniera oggettiva, finalmente anche i sordi hanno potuto criticare ed apprezzare un programma televisivo così come fanno gli udenti!

Come LIS Performer che riscontri hai avuto? 

L’anno scorso delle persone sorde mi hanno contattato per la slinguazzata nella canzone “Me ne frego” di Achille Lauro, per quella scena del tutto imprevista in cui mi sono azzardato a fare qualcosa non da programma… ma che risate! Anche quest’anno Achille Lauro mi ha dato molte soddisfazioni, ma Aiello con la sua “Sesso e ibuprofene” non è stato per niente da meno e mi ha fatto finire sulle pagine di TrashItaliano (visto il potere della LIS?)!


Che succede quando Sanremo finisce? 

Vengo sempre colto da un po’, anzi da tanta malinconia nel dover salutare la mia famiglia di performer. L’anno scorso ho sofferto molto, ancor peggio quando di lì a poco è scoppiata la pandemia, e quest’anno, dopo questa parentesi sanremese di cui avevo bisogno, mi è successa la stessa cosa però con una pandemia ancora nel pieno del suo corso, che non ha reso per niente semplice ritornare alla dura e triste realtà del reparto Covid in cui trascorro le mie giornate.

Non vedo l’ora di rivederli tutti e lavorare insieme migliorando sempre più… questa sarà sempre la mia più grande soddisfazione!


Se dovessi scegliere di fare solo uno di questi lavori, quale terresti e a quali condizioni? (lo so, è una domanda odiosa)

Vorrei fare l’interprete e performer LIS! A condizione che sia un lavoro fisso e che mi consenta di poter vivere. Se solo non avessi l’impressione costante che il mondo stia finendo…

Vorrei avere tempo a sufficienza per impegnarmi nelle arti teatrali (desiderio che avevo sin da bambino) e in mille altre cose per poter perfezionare la LIS.


Un rimprovero da te per te e un tuo sogno nel cassetto

Forse dovrei credere di più in me stesso, nelle mie capacità. Vorrei tanto che ci fosse ancora mia madre, lei saprebbe indicarmi quale sia la strada giusta da seguire, saprebbe come incoraggiarmi. 

Siamo cresciuti in una società che ti impone di essere soltanto una cosa, io invece desidero “vivere”, e fare quante più cose possibili, desidererei non fermarmi al primo ostacolo e non abbattermi, lasciare qualcosa della mia esistenza su questa Terra, questi sono i miei sogni nel cassetto…

Desidererei concludere quest’intervista con una delle ultime affermazioni di mia madre:


“Io ritengo che sia molto importante significare qualcosa nella vita. Questo io penso.
Cioè andare oltre quelle che sono le apparenze, andare oltre quelle che sono le classificazioni sociali. Bisogna significare qualcosa nella vita. E non si vive solo per se stessi, si vive anche per gli altri. Altrimenti la vita non ha senso”.

Ecco, vorrei vivere proprio così avendo come modello queste parole… AD MAIORA.