Intervista a Bruno Izzo: leggo dunque sono

da Ott 7, 2021Storie

Chi è Bruno Izzo?

Sono nato a Napoli il 21 luglio 1956, fatemi gli auguri, figlioli, a breve soffierò su 65 candeline, ma niente da fare, rassegnatevi, ero, sono e rimarrò per sempre un ragazzo! Non lo dico io ma un cantante famoso, sono un “bravo ragazzo del ‘56”, come cantava infatti Miguel Bosè in una canzone omonima! Insomma, sono dello stesso anno di cui si ricorda una insolita e abbondante nevicata su Roma, questa invece la canta Mia Martini, anche qui in una canzone omonima. Tanto nomini, quindi!
Manco a farlo apposta, sono anche nato in una città canterina per definizione, Napoli appunto, secondo tanti la più bella città del mondo, e la canzone napoletana è la migliore ancora oggi. Una musica che adoro!
Sembra strano, ma per essere sordo, e quindi agli antipodi con il sentire, ho a che fare con suoni, musica, e canzoni, è la legge del contrappasso!
Non mi credete? Mai ascoltata “Eppure sentire” di Elisa?
Ecco, avrà pensato a me, componendola.
Sono come tutti uno, nessuno e centomila, un marito, un padre, un lavoratore, lavoro tutt’ora in un ente pubblico a Bologna, dove ormai risiedo da tanti anni.
Le mie passioni?
Tantissime! Il calcio, e poi Napoli, squadra, città, persone e gastronomia! Ancora amo il cinema, e il teatro, quello di Eduardo in primis, ovviamente, e poi vado in sollucchero con libri e letture. Sono un lettore precoce, onnivoro e appassionato da sempre, per hobby recensisco le mie letture su vari siti, SORDIONLINE, QLIBRI, UN LIBRO TIRA L’ALTRO, ecc. I miei autori preferiti sono tanti, da Stephen King a Ernest Hemingway, da Erri De Luca a Giovannino Guareschi, per finire a Maurizio De Giovanni, Antonio Manzini, Marco Malvaldi, Ilaria Tuti. Di tutto un po’.

Chi si è accorto della tua sordità e come si è giunti alla diagnosi?

Se ne sono accorti i miei genitori, la mia famiglia, direi da subito. Infatti, sono nato in casa, come si usava allora. Sono l’ultimo di cinque figli, tutti maschi. Tutta la mia famiglia è formata da udenti, generazioni passate e future comprese. Le gravidanze precedenti erano tutte andate alla grande, quindi il mio avvento non presentava avvisaglie negative di alcun genere. Ma io evidentemente avevo il calcio nel sangue, pensai bene di uscire con i piedi davanti. In sintesi, sono nato podalico, con sofferenza, ho subito un trauma da parto, sono andato in cianosi, la leggenda di famiglia vuole che mi abbiano chiamato Bruno, che significa di colore scuro, perché ero scurissimo, violaceo, quasi nero. Sapete, è andata bene lo stesso. La carenza di ossigeno uccide definitivamente le cellule nervose, le uniche del corpo umano che non si replicano, si possono causare quindi gravi danni intellettivi permanenti. A me invece sono state uccise solo le cellule nervose dell’organo del Corti, nella chiocciola dell’orecchio interno, quelle che servono per sentire. Non solo: l’ostetrica si premurò di mettere sull’avviso i miei, raccomandandosi di tenermi sotto osservazione, che avrei sicuramente presentato problemi di lì a poco.

Mia mamma se ne accorse subito che i problemi c’erano: cadde un piatto per terra con gran fragore, a pochi passi da me che continuavo a dormire in culla imperturbabile. Quella santa donna si insospettì e mi effettuò allora il mio primo esame audiometrico, percuotendo i coperchi delle pentole come i piatti di una banda musicale, ma io invece non battevo ciglio. Quindi, la diagnosi fu precocissima, e per fortuna mia, ancora oggi la diagnosi precoce è il caposaldo per l’ottimale riabilitazione di una persona sorda. I medici arrivarono poi subito dopo a confermare il tutto.

Quali rimedi e percorsi riabilitativo-educativi hanno scelto i tuoi genitori per te e come sono stati? Tornando indietro, pensi che abbiano fatto la scelta giusta per te o la cambieresti?

La mia famiglia è stata la mia fortuna, la mia prima, efficace ed insostituibile riabilitazione audio verbale. I miei genitori erano persone estremamente pragmatiche, avevano fatto la guerra e il dopoguerra, non si persero d’animo dopo la diagnosi di sordità profonda, non erano proprio tipi da perdersi in fronzoli.

“Nostro figlio non sente bene, e allora? In qualche modo si farà”.
Questo divenne il commento e l’imperativo corrente, e niente altro.

Fecero tutto quello che era umanamente possibile fare a quei tempi, con i pochi e scarsi ausili disponibili per le persone sordi a quei tempi.
Con tanti sacrifici e forza d’animo affrontarono il problema gestendolo in prima persona. Si informarono dettagliatamente, mi portarono in visita dai medici per prima cosa, i migliori professionisti dell’epoca in Italia e all’estero, e poiché tutti facevano esattamente la stessa diagnosi ed indicavano il medesimo iter riabilitativo, non indugiarono oltre, non mi negarono nulla.

Non si risparmiarono loro per primi, non delegarono solo ai professionisti la soluzione del problema, intuirono pur essendo comuni piccoli borghesi che non era un tipo di problema risolvibile solo all’esterno del nucleo familiare, anzi, esattamente il contrario. Serviva la reiterazione ossessiva e perenne degli input riabilitativi forniti dagli specialisti. Erano lavoratori taciti, risparmiosi, severi, attenti al denaro, non viziavano i figli, lesinavano con acume agi e giochi, ma per la mia sordità mi diedero il meglio disponibile sul mercato, non a tutti i sordi è stato concessa dal fato la stessa fortuna. Mi assicurarono le migliori protesi acustiche presenti sul mercato, il logopedista privato, un insegnante dedicato, ma non solo: tutta la famiglia, fratelli, zii, nonni fu coinvolta nella mia rieducazione, fu un periodo di ossessiva lallazione, logopedia, continue e certosine ripetizioni di tutti gli esercizi di respirazione e articolazione prescritti dagli esperti, questi davano l’input, il resto lo faceva la famiglia, ero sottoposto a incessanti stimoli cognitivi, educazione fonetica, allenamento acustico, confesso che all’epoca li odiavo tutti per le fatiche a cui venivo sottoposto.
Ma funzionò. Mia madre, donna molto devota, ci aggiunse le sue preghiere e mi portò in visita dai maggiori santuari mariani, Lourdes compresa, secondo me questo funzionò meno, confesso che furono esperienze traumatizzanti, ero convinto che se non venivo scelto per essere miracolato, era perché avevo le mie colpe, tutte gravissime, evidentemente, ma insomma…

Poi iniziai a leggere prestissimo, divenni un lettore precoce, e leggere mi appassionava, anche questo fece la mia fortuna. I miei fecero la scelta migliore, valida per ogni riabilitazione: la compirono in prima persona. Certo, potevano delegare, e lo fecero, a educatori professionisti, ma ti ripeto, erano al mio fianco sempre, sempre, sempre. Della mia infanzia posso dire tutto, ma mai che fui solo. È la famiglia la prima e più efficace riabilitazione della persona sorda.

Credo fermamente che fecero per me la scelta migliore, data l’epoca.
Oggi, probabilmente come allora avrebbero dato ascolto per prima cosa ai medici, quindi probabilmente avrebbero optato per un impianto cocleare.
Capisci, seguivano la linea del tempo, quello che i tempi offrivano in proposito.

Quanto la sordità ha influito nella tua vita o ti ha ostacolato nella realizzazione dei tuoi sogni? E quali sono le maggiori difficoltà che hai incontrato?

La sordità profonda è tutt’ora una difficoltà, non lo nego, che mi ha reso comunque diversa e più difficile l’esistenza, l’ha influenzata pesantemente, ma per quanto possa apparire strano, non fu la sordità in sé a crearmi problemi, fu la sordità in via indiretta. Insomma, la sordità era l’ultimo dei miei problemi, perché la gestivamo bene io e la famiglia, per quanto fosse possibile farlo con i mezzi, scarsi, dell’epoca. Pare strano, ma le maggiori difficoltà sempre le ho incontrate a causa della divisione sociale imperante all’epoca. In sintesi, c’era una distinzione netta tra noi sordomuti e i normodotati, e di questo ne ho sempre sofferto tantissimo. Non c’erano via di mezzo, era tutto o bianco o nero, non sapevo a chi appartenessi, parlavo troppo bene per essere un sordo, e sentivo troppo poco per essere un udente. Non potevo frequentare solo le normali scuole dell’obbligo, era necessario frequentare le scuole speciali per sordomuti, io sono andato alle “Filippo Smaldone” di Napoli, per carità, un’ottima scuola, ma i miei problemi nascevano dal fatto che la mia educazione era improntata esclusivamente all’oralismo forzato, come d’ uso allora, per cui a casa mia giocavo con i bambini udenti, e loro mi bullizzavano, ero un bersaglio, non parlavo bene come loro, naturalmente balbettavo non perché soffrissi di balbuzie ma perché stavo imparando ad articolare la voce, ma i bambini sono crudelissimi, mi facevano la caricatura, poi sbagliavo accenti, pronunciavo male s e z, inoltre non sentivo assolutamente nulla, non li capivo neanche con la lettura labiale, ancora non la padroneggiavo, e poi giocavo senza protesi per non romperle, costavano tantissimo! e quindi neanche mi giravo verso la fonte sonora per la labiolettura, mi prendevano in giro chiamandomi sordo o “Montecarlo” riferito all’effetto Larsen delle protesi acustiche. A scuola speciale, in istituto, invece gli altri bambini, i miei amici sordi del posto segnavano alla grande, si esprimevano a segni, in mimica, in LIS, magari di nascosto dagli insegnanti di scuola che utilizzavano il metodo oralista, per cui anche qui si ripeteva il problema, anche qui ero emarginato e bullizzato.

In sintesi, per gli udenti ero troppo sordo per stare alla pari tra loro, per i sordi sentivo e parlavo troppo per essere al loro livello. Morale della favola, soffrivo, e ne ho sofferto per tutta la giovinezza, di crisi di identità.

Qualche vantaggio però c’era, nell’essere sordo.

I miei non avevano mai voluto un cane in casa, malgrado le suppliche dei miei fratelli. Un educatore un giorno disse loro che accudire un pet fa maturare un bambino sordo, lo fa sentire grande e responsabile, adulto ed autonomo, accrescendogli l’autostima. Inutile dire che prendemmo un cane, con grande gioia più dei miei fratelli che mia personale!
Poi…i miei odiavano il calcio, una fabbrica di illusi, secondo loro.

Sempre un educatore, suggerì che mi cimentassi in un gioco di squadra con gli udenti, perché era uno stimolo a parlare ed integrarmi! Mi comprarono le scarpette da calcio migliori che ancora le sogno, la “Pantofola d’oro”!
Insomma, vantaggi ne avevo! Per tutto il resto, per gli inevitabili dispiaceri, ne uscii alla grande perché come valvola di sfogo per fortuna mi rifugiavo nella lettura. Furono i libri a farmi comprendere la semplice verità. Chi ero io?
Bruno il sordo o Bruno il simil udente?
Con i libri ho infine capito che io sono Bruno, e basta.

Tutto il resto è relativo. Ma è stata dura, capisci.
La sordità non era il problema, lo diveniva per come veniva vissuta all’esterno della persona sorda. Ed ancora oggi è così.

Qual è il pregiudizio sulla sordità che ti infastidisce di più?

Credo che sia un pregiudizio ancora esistente, duro a morire: sordità come sinonimo di deficienza. Se uno è sordo non sente, quindi non capisce; ma se non capisce, per gli udenti, è perché è un idiota, un ritardato mentale, un deficiente, neanche arrivano a pensare che è la sua comunicazione in entrata ed in uscita che è difficoltosa. E quindi, di conseguenza, se uno è sordo non può studiare, se si laurea è perché gli hanno regalato esami e titolo per pietà o per buonismo, se fa un lavoro di un certo livello, sarà stato un raccomandato.
Difficile che un normodotato attribuisca all’intelligenza, volontà e capacità personali di un sordo la sua riuscita NONOSTANTE sia sordo.

Qual è la domanda sulla sordità più sciocca che ti hanno fatto?

Di domande stupide me ne hanno rivolte molte, non saprei scegliere.

Ti dirò, per puro caso ho sempre avuto ragazze, fidanzate, innamorate udenti, udente lo è anche mia moglie. Ma è solo un caso, ho frequentato ragazze sorde e udenti, ho corteggiato tantissime ragazze sorde avendone sempre un rifiuto, succede, è stato un caso, una coincidenza. Comunque, quando presentavo la mia fidanzata/moglie udente, tutti mi hanno chiesto: ma lei è udente? E come hai fatto a metterti con lei? E viceversa, chiedevano a lei: ma lui è sordo, te ne rendi conto? Stai con un sordomuto? Ma che vergogna! Ma come fai?
I simili devono stare tra loro!
Insomma, cose così! Ti lascio immaginare che allegria!

Foto Bruno Izzo

Mi racconti della tua grande passione per la lettura e la scrittura?

Ho iniziato a leggere prestissimo, certamente a cinque anni già leggevo correntemente Topolino, tanto per intenderci. La lettura faceva parte del mio programma di riabilitazione, soprattutto la lettura a voce alta, quindi i miei mi procurarono dei lussi per l’epoca, i cubi con le lettere ed una maestrina elementare privata. Una volta imparato a leggere, leggevo tutto, ma proprio tutto quello su cui mettevo le mani, finanche il quotidiano. Perché è logico, naturale. Le informazioni non veicolate dal suono, mi pervenivano con le parole scritte, la normale curiosità di sapere, di conoscere, di apprendere di un bambino veniva naturalmente soddisfatta così, e da solo, senza dover chiedere. E i miei mi riempivano di libri, e di enciclopedie illustrate che adoravo.

Poi succedeva che raccontavo quanto leggevo agli amici sordi e udenti.

Loro non avevano il mio ritmo, la mia facilità di lettura, non leggevano quanto me, anche il più bravo di loro, l’udente migliore, non era prolifico come me nelle mie letture, inoltre alcuni autori, Jules Verne per esempio, che adoravo, li avevo letti più volte, sapevo a memoria storie e dialoghi, li ripetevo, li rappresentavo a voce e in segni, e tutti cominciarono a venirmi dietro, ero un’attrazione, uno di cui vantarsi di avere per amico.

Insomma, ne sapevo di cose assai più di loro, quindi li affascinavo, pendevano dalle mie labbra, avevo un’aura avvincente, intrigante, davo segno e voce alle loro fantasie, la cosa mi gratificava, e via così, andavo alla grande!
A volte mi prendevo delle licenze poetiche, di Robinson Crusoe ancora c’è chi si ricorda che gli inventai di sana pianta una moglie di nome Domenica, mi pareva brutto lasciarlo solo con Venerdì.

Il fatto di amare la lettura, inoltre, mi facilitava negli studi, comprendevo sempre meglio e quindi assimilavo di più.
Infine, un mio educatore, un gesuita, pensa un po’, nel pieno della mia crisi adolescenziale, sentendomi imprecare contro la mia sordità, mi disse una frase che non ho più dimenticato: “tutto quello che non senti, da qualche parte lo trovi scritto. Cercatelo”.

All’epoca non esisteva pc, ma solo libri e biblioteche, ma funzionò.
Immagina ora nel tempo digitale: pc e internet ti portano informazioni in tempo reale. Io non sono un nativo digitale, e però ho finito per insegnare informatica di base ai ragazzi sordi più di 20 anni fa, quando si cominciò a diffondere il personal computer con Windows95, pensa un po’.

Cosa rispondi a chi dice che i sordi che usano la LIS non leggono e non sanno scrivere bene?

I sordi leggono poco, è vero. Ma non per colpa della LIS.
La LIS è un mezzo, una forma di comunicazione, in genere è un inizio, si parte dalla LIS e si giunge ad un minimo di oralismo.
Però hanno grammatica diversa, un modo differente di comporre il pensiero, da qui l’equivoco che la LIS pregiudica l’oralismo corretto. È vero il contrario.

In realtà, i sordi comunicano per immagini, la loro arte si estrinseca meglio in un film anziché in un romanzo. Non è che i sordi sbagliano a parlare, parlano in un modo diverso. Così come un udente si esprime in LIS in forma diversa da un sordo: l’udente la LIS l’ha imparata, il sordo l’ha appresa, non è la stessa cosa, fanno un pensiero di costruzione della frase differente, e la esplicano come sanno. Io lo dico chiaro: non l’oralismo, non la Lis, ma il metodo bimodale, il bilinguismo, è quello che è perfetto per il sordo.

Non leggono e non scrivono bene, certo, ma è una questione di didattica, molti giovani udenti non leggono, e per questo non sanno scrivere e neanche parlare bene l’italiano.
La lingua italiana non è quella dei social o dei messaggi whatsapp, è quella dei libri. La soluzione per ambedue? Suscitare la curiosità per la lettura.
Ricordi cosa si dice? Regala un pesce ad un affamato, mangerà un giorno. Insegnagli a pescare, mangerà tutta la vita. Così per la lettura. I cellulari, il pc danno dipendenza. I libri ti donano un’indipendenza di pensiero formidabile. E neanche hanno bisogno di ricarica, antivirus, aggiornamenti, non vanno mai in crash.

La sordità cosa ti ha dato e cosa invece ti ha tolto?

La sordità è stata e continua ad essere una condizione difficile, limitativa di molte cose. Ma appunto, è una condizione, puoi gestirla meglio di tante altre. Mi ha tolto qualcosa, ci sono delle cose che non posso fare o non sono riuscito a fare, suonare il pianoforte, la chitarra, cantare, vivere la musica in pieno.
Non so che sensazione uditiva può essere lo stormire delle fronde, o la risacca sulla riva, o il cinguettio mattutino degli uccellini, neanche il frinire delle cicale che le sere d’estate mandano in paranoia gli udenti. Non li sento.
Però la sordità mi ha fatto un dono immenso, una fortuna che molti, tanti udenti non hanno. Quale?
La sordità mi ha insegnato ad ascoltare.
A prestare attenzione all’altro. A leggergli negli occhi. A sentire il linguaggio del corpo. Certo, tutto questo è nato per sopperire a quanto non percepivo con l’udito. Ma poi l’attenzione uditiva ha supportato la mia capacità di ascoltare, e quindi ha rafforzato il mio livello di tolleranza, accettazione del diverso, empatia. Mi ha reso più umano e meno robotico, le protesi non mi servono per sentire, ma a rivolgermi alla fonte sonora. Poi interviene altro per ascoltare, chissà, forse il cuore.
Tutti i sordi hanno un cuore, anche gli udenti in verità. Anche le persone di diversa etnia, religione, colore. Anche gli animali. Li ascolto così, e meglio.
Ma non ci si pensa troppo spesso. Ti pare poco?

Un rimprovero e un complimento da te, per te

Mi rimprovero di non aver perseverato in certe scelte, a volte ho lasciato stare troppo in fretta. Per dirti, ero convinto che gli udenti, solo perché tali, ne sapessero più di me. Coltivavo sogni di gloria dietro un pallone, mi dissero che un sordo non avrebbe mai potuto giocare da professionista, e lasciai stare. Ho fatto studi ad indirizzo scientifico, perché mi dissero che nelle scuole ad indirizzo umanistico latino e greco avevano una metrica tale da essere fuori portata per una persona sorda, quindi non ho insistito. Ecco, non ho insistito abbastanza. Non sto ad incensarmi con i complimenti, però sono contento di aver fatto qualcosina per le persone sorde, mi sono impegnato anche nell’ENS, sono riuscito bene anche con gli udenti, in sintesi ho amici sordi e udenti, non ho più il problema di ruolo in cui identificarmi. Apparteniamo tutti ad una sola razza, quella umana.

Hai un sogno nel cassetto?

Come tutti i grandi lettori, amo anche scrivere. Sì, mi piacerebbe scrivere romanzi. E naturalmente pubblicarli. Scrivere è anche un fatto di tempo e di costanza, mi mancano ambedue, ho una vita piena, già il lavoro, la famiglia, gli hobby, leggere e scrivere recensioni mi impegna molto, ma prima o poi andrò in pensione, e quindi magari riuscirò a portare a termine un romanzo.
Posso preannunciarti che gli eventuali romanzi che scriverò non parleranno né di sordi e nemmeno di udenti.
Ma di persone.